Interludio semiserio dopo una roboante vittoria e prima di una sfida difficile

AMICO: Voto 10.

Decisivo in almeno tre occasioni, ma la prima è leggenda: sullo 0-0 chiede a Ruggeri “a me gli occhi, please!”, gli chiude lo specchio della porta e lo fa impappinare come un liceale all’esame orale. Sull’0-1 si oppone a Traorè come un iceberg, e nel finale devia in corner una conclusione di Duca con la flemma di chi sta scegliendo il vino. L’esatto contrario del suo predecessore: sempre calmo – quasi serafico – e sempre efficace. Quick off his line, ladies and gentleman!

GESUELLI: Voto 10.

Meritava il gol, peccato. Colpa di un arbitro con il binocolo al contrario che ha visto – davanti a un centinaio di testimoni – un inesistente tocco di Ceesay in fuorigioco. In pratica, un fallo di fantasia. Per il resto, spinge e difende con ordine e pulizia, spazzando via ogni critica come polvere da un tappeto persiano. Meno bravo nella conclusione finale contro Palmieri. Ma non si può chiedere a un architetto di montare perfettamente anche la zanzariera.

MONTEVERDE: Voto 10.

Sarà quella “erre moscia” a dare a Lorenzo quel tocco di raffinatezza in più? Fa cose semplici, bada al sodo, of course, ma sempre con un leggero distacco dal mondo degli uomini che lo porta a sbrogliare matasse complicate con l’aria di chi ne sa una più del diavolo. Monumentale lungo la fascia sinistra. Talmente affezionato alla corsia da sembrare l’ultimo esponente sovietico a presidiare un confine.

DI MARINO: Voto 10.

Prendete un compasso, puntatelo tra l’area di rigore e il centrocampo, dunque tracciate un cerchio: quello sarà il regno di Matteo Di Marino. Lì dentro l’avversario non può entrare perché gli appartiene di diritto. Fa di tutto: ripulisce i palloni, li imposta, li lucida e li profuma. Ad un tempo diga difensiva e metronomo. Double-face, in pratica.

PIERISTÈ: Voto 10.

Fate attenzione quando lo sentite ringhiare: spesso morde. Traorè, dopo la partita, ha appeso un poster di Andrea nella sua cameretta e ci ha giocato a freccette per tutta la notte. Già, perché il nostro biondo lo ha letteralmente annichilito, con le buone o, diciamocelo, con le cattive. Ne è uscito un “testa a testa” da manuale del calcio anni Ottanta, un incrocio letale tra lo Zar Pietro Vierchowod e un mastino napoletano dopo una settimana di digiuno. (Dal 75’ BRIZI: voto 11. Il voto in più è per la sicurezza e l’autorità che hanno accompagnato i suoi venti minuti di partita. Si è mosso come un autentico veterano)

MENGHINI: Voto 10.

L’esatto contrario del suo compagno di reparto. Nel senso che picchia anche lui, forse anche di più, ma sempre con quel sorriso in bocca che gli è valso il soprannome di “picchiator cortese”. Le poche volte che i Ruggeri o i Duca di turno lo hanno messo in difficoltà, lui ci ha messo il fisico e… stop! Non si passa, se prima non si recita una quartina di Montale. Un attaccante avversario ha giurato di averlo sentito declamare “Ho sceso, dandoti il braccio” mentre gli addentava una tibia: difficile credergli, ma l’effetto è garantito.

MONTECCHIARI: Voto 11.

“Appare a volte, avvolto di foschia, magico e bello”. Monte è agli antipodi del calciatore moderno, tutto fosforescenze e auto lussuose. È la bandiera dell’umiltà e della sostanza. Raccoglie l’invito di Cullhaj, lo ringrazia del cioccolatino e sblocca la partita. Poi si sdebita con il compagno offrendogli un assist ancora più dolce che lo manda in porta a chiudere la gara. “È come il fumo che non prendi mai”. Chiedere conferma a Francesco Guccini, o a qualsiasi difensore dell’Elite che ha provato a marcarlo. (Dal 71’ TORRESI: voto 10. Entra nel suo ruolo naturale dopo aver giocato ovunque e ci mette cuore e polmoni, come al solito)

CEESAY: Voto 10.

Ousmane non è un uomo, è una piovra: ha tre cuori (uno per la corsa, uno per i recuperi, e uno per la generosità). Non ha gambe, ha tentacoli dotati di ventose potentissime e sensibili con cui arpiona ogni pallone, compresi quelli che per il resto del mondo sono impossibili da catturare. La sua flessibilità tattica lo rende capace di orientarsi in labirinti complessi, lasciando l’avversario a interrogarsi sul perché non l’abbia visto arrivare.

CULLHAJ: Voto 11.

Da quando Lovascio si è infortunato, questo ragazzo ha accettato il peso dell’attacco con la responsabilità di un veterano. Sabato scorso, contro l’Appignanese, è sceso in campo con un furore agonistico degno di Giordano Bruno (non Bruno Giordano, badate bene), oggi ha disputato una gara straordinaria che lo ha visto protagonista assoluto: gol, assist e una carica umana che lo fanno sembrare, da sempre, un pilastro della Cluentina. Ragazzo impagabile e valore aggiunto. (Dal 67’ CAPPELLETTI: voto 10. Si sbatte come può in una fase della gara in cui la squadra deve solo amministrare l’ampio vantaggio. L’espulsione finale non può rappresentare una nota di merito ma sta lì a dimostrare la compattezza del gruppo. Con quelle mani sul collo dell’avversario ha detto chiaramente che nessuno può far male ad un suo compagno di squadra)

CANUTI: Voto 10.

Negli anni Settanta, lo slogan più ricorrente reclamava la fantasia al potere. Lorenzo rappresenta il trait d’union con quel passato romantico. Il maestro Boskov amava ripetere che il centrocampista ideale è quello che vede praterie laddove appaiono solo sentieri: Canuti, in rapporto alla categoria, è quel genere di calciatore. Vede il gioco a tre dimensioni. Dobbiamo solo augurargli tanta lucidità fino alla fine della stagione. E che il presidente lo leghi con catene di titanio al biancorosso. (Dal 65’ GENTILI: voto 11. Vedi la valutazione di Brizi. Voto in più per la stessa ragione)

MANCINI: Voto 11.

La sua prestazione potrebbe essere liquidata con lo slogan dei confetti Falqui: è il Mancio, basta la parola. Dopo una stagione difficile, Andrea sta crescendo di gara in gara e appare quasi come un alieno in queste categorie, un deus ex machina venuto a illuminare il campo. La punizione in stile Recoba (onoriamo la sua fede interista), pur meravigliosa, passa in secondo piano di fronte a una prestazione fatta di lampi di classe e tanto sacrificio. È la dimostrazione che, a volte, la classe non è acqua, ma uranio arricchito. (Dall’83’ RICOTTA: voto 10. Solito ingresso ad alto impatto per Riccardo al quale manca solo il gol. Arriverà.)

MISTER GESUELLI: Voto 11. Con lode.

È il vero direttore d’orchestra di questa squadra, un maestro che potrebbe dirigere l’attacco con una bacchetta e correggere una congiunzione sbagliata con l’altra mano. Ha preso la Cluentina dopo una retrocessione, quando il morale era in caduta libera e lo spogliatoio scricchiolava pericolosamente. Ebbene, Mister Gesuelli la sta trasformando in una pièce teatrale di prosa calcistica, grazie a un gioco semplice, corale e, soprattutto, grammaticalmente ineccepibile. Per lui, la palla in tribuna non è un’opzione difensiva, è un’eresia: viene accettata solo come extrema ratio, l’ultimissima risorsa da scegliere “solo in caso di grave, comprovata e inequivocabile necessità”. Tutte le altre sfere devono essere giocate, toccate e trattate con la dignità di un lemma del vocabolario. Insieme al DS Mandorlini e al DT Acciarresi, ha costruito un gruppo di veri uomini (prima ancora che calciatori): un manipolo che include, che non ghettizza e che non esclude mai nessuno. Infatti, si narra che le punizioni non consistano in giri di campo, ma in analisi logiche o nella stesura di un tema su “L’importanza del bel gioco nell’evoluzione del pensiero occidentale”. Ecco perché anche i giovani scendono in campo serenamente e si esprimono al massimo: sanno che non verranno giudicati per un passaggio sbagliato, ma al massimo per un accento fuori posto. Se questa Cluentina ha ritrovato un’identità, il merito è del suo allenatore-filologo. Quando parla alla squadra, il silenzio è assoluto: non tanto per timore, quanto per non perdersi nemmeno una virgola di quel perfetto italiano.